A cura di Chiara Faini
L’intera filiera culturale è stata colpita repentinamente dall’emergenza Covid19, con il blocco della programmazione e l’impossibilità di garantire le tradizionali modalità di accesso ai contenuti, alle esperienze ed ai luoghi di riferimento già a partire da fine febbraio.
All’alba della fase due, sebbene sulla riapertura si prospettino tempi diversi - e particolarmente lunghi nel caso dello spettacolo dal vivo - gli interrogativi sul lascito di questi mesi di isolamento attraversano tutto il settore, come evidenziato ad esempio dal rapporto pubblicato dal Dipartimento Cultura e Promozione della Città del Comune di Bologna.
Ci sembra che, al di là del brevissimo periodo, gli snodi da cui partire per immaginare strumenti di intervento siano quelli della produzione culturale e della fruizione. Alla luce della portata della crisi in corso e del carattere strutturale di alcune fragilità del settore, come portato all’evidenza dalla crisi stessa, qualsiasi misura potrà avere senso solo se strettamente connessa ad un ripensamento sistemico dei legami fra politica, economia, cultura e società, come sottolineato da Martina Testa.
Nuovi modelli di produzione
Da diversi anni assistiamo in ambito culturale alla proliferazione di forme di lavoro precario e al restringimento costante e brutale del finanziamento pubblico, solo in parte arginati dall’emergere di pratiche di innovazione civica e culturale e di modelli che combinano approccio comunitario e sostenibilità economica.
In questo contesto gli effetti della pandemia colpiscono molto duramente strutture e lavoratori e la formulazione di misure di intervento necessita una capacità programmatica che vada oltre il breve periodo. Anche in considerazione dei diversi strumenti messi in campo fuori dal nostro Paese a sostegno del settore culturale, in Italia stiamo assistendo all’emergenza di diversi collettivi informali ed auto-organizzati di lavoratori (artisti, tecnici, organizzatori) formatisi per rivendicare il riconoscimento dei propri diritti e la legittimità professionale di tutto il comparto. Anche la piattaforma Che fare si è recentemente espressa per richiedere sia interventi di supporto economico immediato che un piano strategico di misure da adottare nella fase post-emergenziale per una ripartenza che ponga basi di sviluppo più solide e più giuste. In un settore estremamente frammentato come quello culturale, la capacità delle diverse realtà di muoversi in rete sembra un importante presupposto per ottenere risultati duraturi in questo senso.
Il delicato tema del lavoro culturale si inserisce inoltre nel dibattito, di portata più generale, sull’introduzione di misure di reddito universale, nell’ottica di un affrancamento del lavoro creativo dalla necessità di generare profitto, come sottolineato anche da Milo Rau nel recente dialogo pubblico organizzato anch’esso nella cornice di R-Innovare la Città. Per quanto queste proposte possano apparire radicali, proprio nel settore artistico strumenti simili sono stati sperimentati con successo in passato in momenti di crisi comparabili all’attuale.
Infine, le questioni di divieto di assembramento e di distanziamento sociale e le conseguenti limitazioni alla fruizione tradizionale dei luoghi della cultura pongono diversi problemi rispetto alle forme che la produzione culturale può e potrà darsi.
In attesa dell’introduzione delle normative previste in questo senso nella fase due, alcune realtà stanno ripensando radicalmente i propri formati e modalità organizzative. Fra queste il festival di Santarcangelo, da sempre all’avanguardia nella riflessione sul rapporto tra arte e spazio pubblico, che ha recentemente annunciato la decisione di dilatare l’edizione 2020 del Festival su un anno di programmazione, concepita come un progetto pilota di sperimentazione collettiva di nuove modalità di stare insieme immaginando nuovi spazi, fisici e mentali.
Un altro caso è quello del “Nuovo Forno del Pane”, il progetto lanciato dal MamBo con l’obiettivo di mettere a disposizione degli artisti bolognesi spazi e strumenti di lavoro. Ancora una volta non ci si limita ad offrire un supporto alla produzione ma ci si muove nell’ottica della costruzione di una comunità creativa: il museo si trasforma in hub culturale al servizio della città.
La fruizione culturale come strumento di inclusione
In un momento di grande smarrimento, di isolamento fisico e relazionale, di esplosione delle diseguaglianze e di elaborazione di un lutto che è al contempo pubblico e privato, emerge con forza il valore intrinseco della filiera culturale in termini di coesione e tenuta sociale.
Per questi motivi la rivendicazione del diritto all’accessibilità, alla fruizione ed alla praticabilità della cultura sembra nodale per una ripartenza che ponga le basi per una società più giusta ed inclusiva.
In questo senso le istituzioni culturali possono giocare un ruolo fondamentale di connettore e di creatore di senso di comunità a patto di sapersi sganciare da un’ottica di profitto immediato, investendo nella relazione di prossimità, riconoscendo alla dimensione partecipativa un ruolo centrale e rinforzando il proprio ruolo educante. Alessandro Bollo, direttore del Polo del 900, arriva a definire l’ipotesi di un'alleanza strutturale tra i settori culturale ed educativo come pista strategica per aprire il campo ad opportunità di sperimentazione, di sviluppo tecnologico, di occupazione, di impresa\ e di crescita culturale e civile.
In questo contesto una nuova centralità può essere assunta dai centri culturali ibridi, all’interno dei quali si sviluppa un dialogo inclusivo tra comunità artistica e cittadinanza. Questi spazi si prefigurano come vere e proprie “istituzioni culturali di prossimità” e modelli di welfare culturale all’interno dei quali sperimentare modalità di condivisione di tempi e di spazi, di ri-connessione con l’ambiente, partecipazione e cura.
Fondamentale appare in questo senso lavorare per la contaminazione reciproca tra istanze pubbliche, private e comunitarie, per dare luce a nuovi modelli organizzativi, di governance e di sostenibilità. Un supporto può venire dagli strumenti dell’innovazione sociale e dell’economia collaborativa, che possono costituire la base per la definizione di modalità di produzione e fruizione Incentrati su prossimità, legame con il territorio e creazione di reti.
Riguardo la fruizione di contenuti digitali, un’altra questione molto dibattuta dall’inizio della quarantena, anche in questo caso è necessaria una progettazione trasversale che vada al di là dell’ottica emergenziale, che sia accompagnata dall'elaborazione di strumenti di contrasto al digital divide e che sappia interpretare la digitalizzazione come mezzo di conoscenza utile ad ancorare il patrimonio culturale alla cittadinanza, come sottolineato anche da Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino.
Sia dal punto di vista della produzione culturale che da quello della fruizione, quindi, l’assunto di base per uscire dall’emergenza affrontando allo stesso tempo le problematicità strutturali del settore non può prescindere dalla necessità di formulare delle risposte che mettano al centro una logica comunitaria (sia tra i professionisti e le realtà del settore che tra questi ed il pubblico di riferimento) e il riconoscimento del ruolo e delle funzioni assolte da lavoratori e organizzazioni culturali, con particolare riferimento alla tutela del lavoro.