a cura di: Stefania Paolazzi, Charlotte Marchilliere, Marta Zaramella
L’avvento della crisi sanitaria ha portato con sé importanti stravolgimenti a livello urbanistico, sociale ed economico, tra i quali figura anche l’acuirsi delle già preesistenti disuguaglianze sociali. Questo è stato evidente quasi fin dai primi mesi della pandemia per quanto riguarda le pari opportunità e la tutela dei diritti delle donne, tanto che nel corso del mese di dicembre 2020 il Parlamento Europeo ha adottato la risoluzione “Relazione sulla prospettiva di genere nella crisi COVID-19 e nel periodo successivo alla crisi”.
Al suo interno sono stati identificati tre temi centrali alla lotta contro le discriminazioni di genere post-pandemia : l’occupazione femminile, la lotta contro le violenze di genere e l’accesso alla salute. Queste sono anche le tre tematiche principali emerse dal lavoro di rassegna stampa del nostro archivio r-innovare la città e si rivelano fondamentale punto di partenza per avanzare una riflessione che vada verso la comprensione delle dinamiche di genere, delle complessità emerse dalla pandemia, e verso l’immaginare una possibile reazione delle città.
L’occupazione femminile post-pandemia tra precarietà, discriminazione lavorativa e carico domestico
Se le discriminazioni di genere rappresentavano un tratto caratterizzante del mercato del lavoro anche già all’interno dell’Italia pre-pandemica, questo scenario è andato a peggiorare con le nuove trasformazioni sociali dovute alla pandemia. A Bologna, uno studio dell’Ispettorato del lavoro datato giugno 2020 ha messo in evidenza alcuni fatti rilevanti. In primis, tra Gennaio e Giugno 2020, il 70% delle persone con figli di età inferiore a tre anni che ha lasciato il lavoro erano donne. Poi, il motivo del recesso è diverso per gli uomini e per le donne: mentre le donne lasciano il proprio lavoro a causa della difficoltà a conciliare il lavoro e la cura del figlio, gli uomini si dimettono per cambiare azienda. La chiusura delle scuole e l’isolamento hanno poi spostato la cura dei bambini da una manodopera retribuita – asili, scuole, babysitter – a una che non lo è, portando la coppia a decidere chi dei due partner dovrà sacrificare il proprio tempo per la cura dei figli, decisione spesso ricaduta sulle spalle delle madri. Anche l’avvento del lavoro agile ha contribuito ad aumentare il divario tra uomo e donna nella separazione dei ruoli tra lavoro e carico domestico. Sebbeno lo smartworking sia stato infatti spesso interpretato come nuovo possibile modello di flessibilità organizzativa, infatti, i lavoratori uomini sono più propensi al ritornare in ufficio, relegando di fatto le donne al lavoro da casa intermezzato dalla cura domestica e dei figli.
La violenza (domestica) di genere durante il lockdown
Sempre più ricerche evidenziano poi come le misure prese per il contenimento del contagio portino con sé l’aumento della possibile vulnerabilità di donne e ragazze che rischiano di essere proiettate in situazioni di violenza.
A livello nazionale, la Ricerca del Viminale sulla "Violenza di genere e omicidi volontari con vittime donne Gennaio – Giugno 2020" riporta un aumento del numero di vittime di omicidio di sesso femminile nel periodo Gennaio-Giugno 2020 rispetto al periodo Gennaio-Giugno 2019. Questo dato è tanto più significativo, se confrontato con il numero aggregato di omicidi avvenuti sul territorio nazionale, che nello stesso periodo ha avuto un calo generale. In parallelo, la ricerca evidenzia l’aumento del numero di omicidi commessi da partner o ex-partner.
Proprio a questo proposito a inizio pandemia L’Emilia Romagna ha intensificato la campagna d’informazione sul numero verde 1522 (linea dedicata alle vittime di violenze di genere e di stalking) in forma preventiva. Il numero di richieste di aiuto da parte di vittime di violenze domestiche è aumentato del 59%, lasciando supporre un aumento delle violenze di genere durante il lockdown. (Rimane tuttavia difficile confermare tale ipotesi poiché la Regione ha intensificato la campagna d’informazione sul numero verde 1522 nello stesso periodo e in forma preventiva, influendo sulla propensione delle cittadine e dei cittadini a chiamare).
Immaginare una città più eguale
Le linee delineate dall'osservatorio sono le radici di una riflessione più ampia e sistematica che riguarda oggi le città che si interrogano non solo in ottica emergenziale ma con una visione strategica che guardi ad un futuro più giusto, sostenibile e attento alle dinamiche di genere. Vari sono i possibili ambiti di intervento per combattere il gender gap.
Innanzitutto per immaginare politiche urbane più inclusive e giuste, la raccolta di dati in un’ottica di genere deve essere effettuata in diversi campi di interesse.
Poi, una città con la disponibilità di spazi sociali come Bologna può facilmente divenire un terreno fertile per aumentare gli spazi sociali e culturali di dialogo per avanzare una riflessione pubblica in tema di disuguaglianza. Grande opportunità in questo senso possono rivelarsi le scuole e le biblioteche di quartiere, luoghi in cui capacitare le cittadine al reclamare lo spazio pubblico e le possibilità di progettarlo insieme alle comunità che lo fruiscono: le pratiche di co-progettazione con le comunità nel corso degli ultimi anni a Bologna possono rivelarsi un importante strumento per progettare e pianificare la città in un’ottica femminista.
In ultimo, la ripartenza può essere vista come un’opportunità per investire una parte significativa dei fondi che saranno messi in campo per contrastare l’emergenza in politiche pubbliche a favore dell’occupazione femminile, implementare nuovi servizi e spazi di supporto alla genitorialità che favoriscano la riduzione del carico familiare sulle donne e investire in una sanità e urbanistica in ottica di genere.
Per uscire dalla crisi con uno sguardo verso le dinamiche di genere è chiaro, quindi, che pensare ad una città femminista significa progettare e investire in mobilità, accesso al lavoro, sanità, partecipazione. Usando le parole di Leslie Kern, la città femminista diventa così “un luogo in cui lo spazio pubblico è in generale sicuro e accessibile, non solo per le donne, ma per le persone di colore, i senzatetto, le persone lgbt, le persone disabili”.